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I dati statistici non sono sufficienti per condannare il medico

La responsabilità (anche del medico) viene riconosciuta solo quando vi è anche il cd. nesso causale tra l’azione di un soggetto e l’evento dannoso. Ebbene, relativamente alla responsabilità omissiva del medico si è sempre ritenuto che tale nesso sussiste quando, sulla base del giudizio controfattuale condotto in base a una regola di esperienza generalizzata o una legge scientifica universale o statistica, si accerti che, se il medico avesse realizzato la condotta doverosa, l’evento non si sarebbe verificato o si sarebbe verificato in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva.

Tuttavia, con sentenza del 16 settembre 2020 n. 28294 la Corte di Cassazione ha puntualizzato che non è corretto dichiarare l’esistenza del nesso causale in maniera automatica e solo basandosi sul coefficiente di probabilità espresso dalla legge statistica di riferimento.

Per il decesso di un paziente (e cioè per il caso esaminato dalla Corte) il giudice deve verificare la validità della legge statistica nel caso concreto, tenendo conto delle circostanze specifiche e dell’evidenza disponibile e verificando l’eventuale interferenza di fattori eziologici alternativi. Se è presente un ragionevole dubbio, descritto dalla Corte come “l’insufficienza, la contraddittorietà e l’incertezza del riscontro probatorio sulla ricostruzione del nesso causale“, il medico deve esser assolto.

La Corte ha precisato che “nella verifica dell’imputazione causale dell’evento, occorre dare corso ad un giudizio predittivo, sia pure riferito al passato: il giudice si interroga su ciò che sarebbe accaduto se l’agente avesse posto in essere la condotta che gli veniva richiesta“.

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