Processi e Mediazioni, tra contesti reali e virtuali
(Prime riflessioni)
di Alberto Del Noce e Fabio Rondot [1]
Articolo pubblicato il 16/7/2020 su Diritto 24
Rivista di diritto edita da Il Sole 24 Ore
L’emergenza sanitaria, con il suo carico di sfide inattese ed imprevedibili, ha imposto misure straordinarie alle quali non eravamo abituati. In particolare, l’utilizzo dei collegamenti virtuali ed in remoto, sia nei rapporti sociali che nella giustizia. Le normative emergenziali hanno infatti introdotto la possibilità di celebrare sia i processi sia le mediazioni attraverso collegamenti da remoto. Anzi, tale utilizzo virtuale è stato anche decisamente sollecitato. Si è immediatamente scatenata una forte tifoseria tra i fautori del processo a distanza (soprattutto i magistrati) e gli oppositori del remoto (soprattutto gli avvocati penalisti ed i mediatori). Qui vorremmo svolgere alcuni ragionamenti non ideologici, cercando di analizzare lo strumento in discussione in modo più tecnico.
1. Quadro generale.
Innanzitutto, occorre fare alcune distinzioni all’interno di quel gran contenitore che è il “processo telematico”. Un sistema di giustizia aperto al progresso tecnologico appare infatti un’inevitabile e corretta evoluzione e per certe operazioni non si possono intravvedere lesioni alle garanzie fondamentali.
Certamente è un positivo cambio di passo poter ad esempio depositare atti e memorie in Tribunale con il mezzo informatico, senza dover perdere tempo nel recarsi in cancelleria, rispettando tra l’altro orari di apertura degli uffici (spesso diversi da ufficio ed ufficio). Certamente è una conquista poter ad esempio scaricare un documento dalla piattaforma del Tribunale ed autenticarci da soli la sua duplicazione attraverso le chiavi telematiche, senza dover affrontare code ed accessi negli uffici. Certamente è una conquista poter notificare un atto giudiziario mediante un click, utilizzando una PEC e la propria firma digitale. Non solo, ma stiamo tutti verificando l’utilità delle piattaforme digitali per la formazione professionale e l’aggiornamento nonché l’utilità della connessione virtuale per migliorare l’organizzazione del gruppo di lavoro del proprio Studio: partecipare a team work da remoto agevola le comunicazioni interne, le riunioni, la condivisione di documenti, in genere tutta la gestione delle informazioni necessarie per lo studio della pratica e del processo. In questo periodo di lockdown abbiamo altresì sperimentato l’utilità dello scambio di informazioni anche con il cliente, il quale ha spesso apprezzato la facilità di rapporto con il proprio professionista.
Sotto questi punti di vista, personalmente non vorremmo tornare indietro.
Diverso è invece il discorso per le udienze in remoto e per le mediazioni ove (salvo che non si debba concordare un mero e semplice rinvio del processo o della mediazione) non vi sono solo operazioni meccaniche da eseguire ma interazioni relazionali che devono consentire una percezione complessiva ed attenta dei contesti in cui si muove una controversia. Senza questa percezione si rischia di arrivare a sentenze inique (nel processo) ed a non comprendere le dinamiche degli interessi (nella mediazione).
Scrive Vittorio Manes[i] che, sull’altare dell’emergenza e del mito dell’efficienza e della velocità, vi è il serio rischio che il soggetto coinvolto in un processo venga spersonalizzato e ridotto ad una dimensione “cosale” e che subisca, assieme alla sua vicenda processuale, una sorta di “reificazione telematica”, lesiva della stessa dignità della persona.
Il procedimento di definizione di una controversia (che sia giudiziario o di mediazione) costituisce un rito “sacrale” ed ha importanti valenze simboliche. Pensiamo al “sacro cerchio” di Omero, pensiamo ai luoghi ove si è sempre amministrata la giustizia o l’attività di ascolto e mediatoria. Pensiamo alle toghe che giudici ed avvocati ancora oggi, nel 2020, indossano quando viene celebrato il processo[ii].Pensiamo alle formule rituali che contraddistinguono ancora oggi il processo giudiziario (ad es. il giuramento dei testimoni) o il procedimento stesso di mediazione (come ad es. per l’accoglimento delle parti al primo incontro da parte del mediatore). Questa sorta di liturgia laica non deve esser vista come un mero accessorio estetico ma la manifestazione simbolica di una comunicazione percettiva e di partecipazione – seppur con diversi ruoli – ad un percorso volto a definire una controversia ovvero a ristabilire diritti violati.
L’accertamento della verità non è cosa da poco ed impone un contesto rigoroso, nel senso di con-te-sto e di con-testo. L’accertamento di ciò che è accaduto (sia in un processo giudiziario sia in una mediazione) costituisce un itinerario ove la ri-costruzione della realtà avviene attraverso l’interazione simultanea e circolare tra le parti, con metodo dialettico, con comprensione e con condivisione. Sappiamo che la mediazione si traduce in un’attività che coinvolge un mediatore e due o più individui o gruppi di persone che comunicano interattivamente gli uni con gli altri con lo scopo di raggiungere un accordo che definisca una controversia. Ma comunicare è cosa ben diversa da informare: quando comunico metto in comune, realizzo uno scambio, mentre quando informo trasmetto una pura e semplice notizia.
Il carattere cinese che indica il termine ascoltare è composto dagli ideogrammi di cuore, occhio e orecchio. Quindi, non basta solo l’orecchio. D’altra parte, anche la nostra scienza occidentale ha accertato che il linguaggio verbale costituisce una minima parte della comunicazione. La parte prevalente è il linguaggio del corpo. Sappiamo poi che una cosa è ciò che vogliamo dire, un’altra cosa è ciò che diciamo, altra cosa è ciò che viene recepito ed ancora altra cosa è ciò che viene ricordato.
In altre parole, un buon mediatore deve saper ascoltare “cosa” comunicano le parti. E le parti non comunicano solo con le parole (linguaggio) ma con:
- La Prossemica: rapporto uomo – ambiente.
- La Cinesica: mimica della comunicazione.
- Il Digitale: contatto fisico con sé stessi o con l’interlocutore.
- La Paralinguistica: voce, tono, inflessioni.
La scienza ha poi dimostrato che il cervello si serve di immagini e simboli per orientare l’occhio della mente (che è la sintesi del nostro cervello rettile, sistema limbico e la neocorteccia). È questa regia che nella mediazione permette l’emersione delle motivazioni di certi eventi e permette un’attenzione selettiva, concentrandosi sui vantaggi e non sul dolore (neocorteccia) (Concentrati su ciò che vuoi e non su ciò che temi).
Ma essenziale nella mediazione è anche l’esame dei legami (dopo il cibo, l’ossigeno e l’acqua, i legami sono la nostra più grande fonte di energia). Normalmente la radice di ogni conflitto sta nella rottura di una relazione e l’incapacità di affrontare una perdita. In fondo, la gestione del conflitto inizia con la costruzione e con la ricostruzione di relazioni e di ponti. Poi occorre ascoltare la sofferenza dell’altro e comprendere gli interessi, i bisogni e le motivazioni[iii]. Il vero mediatore (e negoziatore) è quello che, avendo più mappe e modelli mentali, sa riconoscere i legami e sa ricomporli. Ed allora, se queste sono le dinamiche e le regole essenziali per giungere ad una composizione condivisibile delle controversie (che sia una giusta sentenza con giusto processo o una buona mediazione), come si può pensare che si possa realizzare quanto appena succintamente descritto con una connessione in remoto, attraverso monologhi in quadretti di un video, magari sgranati, magari con voci tremule, magari con ritardi di voce?
La “remotizzazione” delle attività processuali o di mediazione, attuata per il medium di un software, può costituire una de-simbolizzazione grave, frantumando il contesto in tanti monologhi asettici e trasformando l’agire (che tiene conto degli interessi e dei valori in gioco) in un fare spersonalizzato e funzionale (e che si limita alla buona esecuzione delle procedure telematiche)[iv].
Il processo diventa “o-sceno”, nel senso di “fuori dalla scena” e la controversia in un fascicolo da smaltire.
È chiaro che quindi con la remotizzazione è più facile ascoltare senza percepire empaticamente, guardare senza vedere. La tecnica modifica il contesto di impiego e chi ne fa uso. Il mezzo tecnico ci pone come spettatori e non come partecipi di un’esperienza o attori di un evento.
Ed allora, possiamo subito comprendere come il tema non è tanto quello di stabilire se la connessione remota per un processo o per una mediazione è opportuna o meno, quanto, piuttosto, conoscere bene quali vincoli pone un confronto virtuale, quali opportunità offre, in quali condizioni risulta efficace e in quali va evitati. Per far ciò è necessario a questo punto approfondire quelle che sono le ineludibili dinamiche cognitive della comunicazione, addentrandoci dietro le quinte della rappresentazione che viene messa in scena utilizzando una Video Web Call (d’ora in poi VWC). È un campo poco conosciuto per il giurista tradizionale ma anche per i nuovi orizzonti che si sono aperti queste nuove conoscenze non possono esser più trascurate anche da un non addetto ai lavori.
2. I vincoli relazionali che non possiamo eludere (le scimmie di Harlow e le osservazioni di Bowbly)
Senza fare alcuno sconto alla scarsa sensibilità dimostrata nei confronti degli animali coinvolti, gli esperimenti di H. Harlow hanno fornito indubbie evidenze in merito all’importanza che le dinamiche relazionali di attaccamento hanno per ogni forma di vita evoluta. Non solo abbiamo bisogno di relazione ma questa non può che essere emotivamente ed affettivamente orientata in senso positivo[v].
Certamente la necessità di relazioni affettive di attaccamento potrà divenire meno significativa con l’andare del tempo (c’è sicuramente differenza tra un bambino e un adulto) ma quel che non va dimenticato è che in ogni nostro momento di difficoltà tendiamo a sperimentare reazioni di tipo regressivo[vi] o comunque difensivo. Dunque, con buona approssimazione possiamo affermare che in ogni adulto continuano ad essere attivi processi elaborativi e relazionali acquisiti nell’infanzia che riemergono nei momenti di difficoltà.
A tal proposito crediamo che ogni conflitto in condizione di stallo e quindi per definizione ogni mediazione, vada considerata come un evento evocatore della condizione appena espressa.
Quanto proposto suggerisce che i nostri processi di apprendimento ovvero le novità che riusciamo a mettere nel momento in cui vogliamo risolvere un conflitto, sono tanto efficaci(efficienti) quanto delicati. Per i nostri attuali scopi, basterà aggiungere che:
- Sono contestuali.
- Necessitano di condivisione a livello sociale.
- Sono il frutto di dinamiche improntate all’imitazione.
- Necessitano di feedback in merito alla qualità del risultato ottenuto.
- Necessitano di conferme a livello di identità (individuale e collettiva).
3. Contesti relazionali a confronto
Facendo riferimento ad un classico setting dedicato alla mediazione, possiamo ora mettere a confronto due scenari tipo; in entrambe viene rappresentata l’interazione tra i Soggetti A e B[vii]. Nel primo caso l’attenzione va ad un’interazione diretta, nel secondo ad un’interazione mediata da device che generano la de-strutturazione del contesto primario. Vediamoli un po’ più da vicino.
Primo Scenario: Vis à Vis
Come abbiamo anticipato, in questo scenario A e B sono due Soggetti che interagiscono direttamente; questo significa che condividono lo stesso spazio-tempo e possono percepirsi in modo immediato. I quattro punti numerati indicano altrettanti momenti in cui le informazioni vengono manipolate con l’intento di condividere una rappresentazione (Punti 1 e 3) piuttosto che assimilare informazioni (Punti 2 e 4). Tale condizione, in contrasto con il senso comune, sancisce l’impossibilità di una trasmissione diretta di qualsivoglia significato-concetto e promuove piuttosto la consapevolezza che ciò che comunemente definiamo comunicazione è assimilabile ad un processo di ri-creazione di un dato confermato da un feedback positivo (processo di accomodamento sociale).
Detto in altri termini, comunichiamo e ci comprendiamo per approssimazioni e attraverso circuiti di feedback positivi. Per i nostri scopi, da questa condizione possiamo far emergere quattro indicazioni:
- le probabilità che un messaggio venga recepito aumentano nella misura in cui i soggetti A e B condividono lo stesso spazio-tempo, canoni narrativi, range percettivi, finalità;
- maggiore è il tempo di latenza tra la creazione di un dato (da parte di A) e un feedback positivo ad esso associato (da parte di B), maggiore sarà la velocità di decadimento del dato creato;
- tanti più soggetti partecipano all’interazione comunicativa tanto più il segnale di A potrà evocare una molteplicità di ri-creazioni di dati nelle enne B presenti;
- le dinamiche sociali per generare comportamenti coerenti e identificazione tra i soggetti coinvolti necessitano di simultaneità percettiva ovvero: tutti nello stesso spazio-tempo con la possibilità di percezioni d’insieme e simultanee.
Vediamo ora cosa accade se-quando viene meno la condizione di interazione diretta.
Secondo Scenario: VWC
Tre caratteristiche sanciscono la peculiarità di uno scenario riconducibile ai vari tipi di Video Web Call (VWC): la disarticolazione della dimensione spazio-tempo, la generazione di contesti virtuali, l’uso di device non sempre assimilabili a livello di performance. Vediamoli.
La disarticolazione… Uno dei vantaggi della condivisione di uno spazio-tempo fisico è l’effetto di sincronizzazione che avviene quando due o più persone si incontrano. Per rendersene conto basta ricordare la condizione che viviamo nel momento in cui decidiamo di gestire delle sessioni private: più a lungo ci assentiamo, meno immediato sarà il ri-coinvolgimento di chi è stato escluso. E la stessa cosa accade se, pur stando in sessione congiunta, la nostra curiosità per ciò che vediamo al di là della finestra ci fa perdere il ritmo della discussione: lo sappiamo, per esprimere un’idea non basta avere qualcosa da dire, bisogna prendere il ritmo e … inserirsi.
In uno scenario VWC tutto ciò viene amplificato in quanto ogni soggetto sperimenta una condizione di policontestualità perché, nella migliore delle ipotesi (interazione ristretta tra A e B) avrà a che fare sia con il suo spazio-tempo che con lo spazio tempo dell’interlocutore. In aggiunta vivrà una condizione asimmetrica poiché percepirà il proprio contesto in modo multi sensoriale, quadridimensionale, in scala 1:1; mentre percepirà il contesto dell’interlocutore in modo bi-sensoriale (visivo e uditivo), tri-dimensionale (assenza di profondità), in una scala variabile (tutto dipende da dimensione e risoluzione dello schermo). E nel caso di distanze significative e di infrastrutture non adeguate potrà arrivare a sperimentare ulteriori livelli di disarticolazione.
Per intenderci, basta pensare a cosa accade nei casi di connessione di scarsa qualità: suoni e immagini perdono la sincronia e comunque, nella migliore delle ipotesi mantenere il ritmo della comunicazione e dell’ascolto reciproco diventa difficile.
L’introduzione di contesti virtuali. Nelle relazioni immediate due interlocutori si trovano nella condizione di entrare in contatto con un contesto fisico comune dando per scontato un contesto mentale (il proprio). Nello scenario VWC le cose vanno diversamente.
Sempre facendo riferimento ad una relazione a due, gli interlocutori dovranno gestire:
- il proprio contesto fisico;
- il proprio contesto mentale;
- il contesto fisico virtualizzato dell’interlocutore;
- il meta-contesto formale denominato VWC;
- eventuali altri contesti virtuali riconducibili ad indirizzi web o desktop condivisi (situazione che potrebbe generare un effetto “scatola cinese” o, nella peggiore delle ipotesi un effetto “vaso di Pandora”).
Nella migliore delle ipotesi ogni interlocutore dovrà tener conto delle interazioni tra quattro contesti. Sperimenterà quindi la necessità di imparare a percepire flussi informativi differenziati poiché generati da contesti diversi e co-presenti.
L’uso di device, infrastrutture, app. Nelle relazioni dirette il semplice distogliere lo sguardo risulta segnale di immediata percepibilità e di altrettanta significatività. In uno scenario VWC lo stesso segnale può raggiungere livelli di ambiguità anche molto alti poiché la relazione passa da essere diretta “occhi negli occhi” a “occhi – video camera – schermo – occhi”. Se stessimo facendo teoria dell’informazione potremmo affermare che i device introducono qualità-quantità di informazione che potrebbe non superare lo stato di rumore ovvero di bit non funzionali ai processi percettivi. La classica richiesta “guardami quando ti parlo” in uno scenario VWC potrebbe esser fonte di molti miss-matching generati semplicemente da un non corretto posizionamento della videocamera (non in asse con lo sguardo, in controluce, sfocata, ecc.) o dalla presenza di oggetti indossati (occhiali, mascherine, ecc.).
Sempre in riferimento alla funzione dello sguardo facciamo un altro esempio: in una interazione di mediazione in ambiente fisico condiviso la distribuzione degli sguardi (attività fondamentale, insieme al contatto fisico, per la generazione e il mantenimento delle dinamiche, delle attenzioni, delle complicità) può essere gestita in un flusso senza soluzione di continuità. Ben altra condizione emerge in uno scenario VWC dove le potenzialità comunicative degli incroci tra sguardi vengono meno (e quelle del contatto fisico sono del tutto assenti) generando una posizione percettiva velata da una sorta di disincanto. Gli esempi citati vanno considerati come indizi di nuovi territori da esplorare, perché il punto, come detto, non è tanto stabilire se gli scenari VWC siano opportuni o meno, quanto piuttosto scoprire quali vincoli pongono, quali opportunità offrono, in quali condizioni risultano efficaci e in quali vanno evitati.
4. Le tre Dimensioni degli scenari VWC
Da questo punto in avanti ci trasformeremo in osservatori curiosi di scoprire le peculiarità del mondo VWC. Per farlo prenderemo in considerazione tre linee di approfondimento, tre punti di vista scelti avendo consapevolezza che i contenuti possono emergere solo a condizione che tra i soggetti coinvolti si sia sviluppata una dinamica relazione tanto efficace quanto efficiente. In questa prospettiva, torniamo agli scenari VWC.
Prima dimensione: I Contesti
In termini percettivi gli scenari VWC sono assimilabili a dei labirinti di specchi in cui l’ospite è immerso in esperienze di rifrazione e riflessione informativa.
Dunque, proprio come una novella Alice nel paese della VWC, il soggetto coinvolto dovrà riorganizzare le proprie strategie imparando a entrare-uscire da contesti riconducibili a tre categorie: mentali (ciò che vive come proprie rappresentazioni), fisici (i luoghi da cui partecipa all’evento VWC), virtuali (ciò che il device che utilizza gli propone). Dovrà anche saper riconoscere e gestire le differenze tra eventi sincroni e asincroni: per intenderci, in uno scenario VWC certe cose vengono percepite dai partecipanti (dai soggetti in mediazione) come in sincronia (tutti vivono la stesa esperienza nello stesso spazio-tempo-modo), altre invece possono seguire spazi-tempi-modi differenti per ognuno dei soggetti coinvolti.
In aggiunta a tutto ciò, per mantenere un buon presidio della situazione ogni soggetto dovrà avere un buon livello di consapevolezza in merito al meta-contesto generato dalla finalità che indica la ragion d’essere dello scenario VWC in cui è coinvolto.
Dunque, la domanda diventa: “Quali abilità e capacità dovranno disporre le Parti e di Mediatori (o i Giudici) perché possano giocare a salta tra i contesti?”.
La difficoltà del gioco di cui stiamo parlando è riconducibile a cinque variabili:
- quantità dei giocatori coinvolti (e relativa moltiplicazione dei contesti);
- caratteristiche intrinseche alle piattaforme utilizzate come hub;
- device e infrastrutture di rete utilizzate dai giocatori;
- link a indirizzi di altri hub (dedicati a contenuti o a interazione tra soggetti);
- impossibilità di monitorare e vincolare le scelte dei giocatori.
Immaginare gli ospiti degli scenari VWC come novelli Ulisse di fronte all’isola delle sirene potrebbe esser un’intuizione da tenere in considerazione.
Seconda Dimensione: Le Dinamiche Relazionali
Ogni dinamica relazionale è riconducibile a uno specifico canone tra le cui peculiarità emergono con forza: ritmo, velocità, durata (complessiva e delle singole parentesi) andamento (alternanze e sovrapposizioni).
In uno scenario VWC queste variabili necessitano di competenze percettive e buon presidio degli agiti (e cioè delle azioni utilizzate dall’individuo per esprimere vissuti conflittuali e inesprimibili attraverso la parola e comunicabili solo attraverso l’agito).
Questo perché, come è stato accennato in precedenza, le modalità comunicative sperimentate ed acquisite in scenari Vis à Vis risultano per lo più inadeguate. Per intenderci, se in una mediazione (o un’aula fisica) ad un Mediatore (Avvocato, Giudice, PM, ecc.) può bastare un colpo d’occhio per verificare il livello di attenzione (interesse, comprensione) e un semplice gesto per riallineare gli altri Attori, in una mediazione (in un’aula di Tribunale) virtuale, tutto diventa più lento, frammentato, ambiguo.
Per questo, in estrema sintesi potremmo ricondurre il tutto a due domande:
- Qual è la minima velocità dello scambio comunicativo che garantisce la presenza di relazione?
- Ogni quanto i soggetti coinvolti devono darsi conferma di reciproca percezione perché abbiano garanzia (certezza) di essere in relazione?
C’è un’immagine che rende l’idea di ciò: i circensi cinesi sono abili nel gestire una performance che consiste nel mantenere in equilibrio una gran quantità di piatti su altrettante bacchette. Per raggiungere l’obiettivo dedicano ad ogni piatto un tempo di attenzione adeguato a trasmettergli l’energia sufficiente a garantirne l’equilibrio (l’autonomia) sino alla ricarica successiva. Metaforicamente è proprio ciò che accade quando un Mediatore gestisce le Parti. Per questo le domande diventano:
- Quali agiti relazionali consentono di ottenere lo stesso risultato in scenari VWC?
- Quali competenze dovrà mettere in campo un Mediatore per ottenere tale risultato?
- Un tale risultato potrà essere ottenuto indipendentemente dalle competenze relazionali (o soft skills, per usare lo slang attuale) degli altri Attori coinvolti?
Anche dando per scontato il miglior livello di competenza per ogni attore coinvolto si dovrà tener conto che gli scenari VWC rendono difficili i processi di apprendimento imitativo (a noi umani così necessari, soprattutto in momenti di difficoltà). Estremizzando un po’, si potrebbe dire “ognuno per sé e la VWC per tutti?”. Questo perché al momento non è possibile virtualizzare in modo profondo le dinamiche proprie di un’aula fisica.
Terza Dimensione: i Contenuti
Allo stato attuale delle tecnologie in ambiente VWC possiamo contare su due sensi e mezzo: vista e udito la fanno da padroni e un po’ di tatto e propriocezione (e cioè capacità di percepire e riconoscere la posizione del proprio corpo nello spazio e lo stato di contrazione dei propri muscoli senza il supporto della vista) viene dall’uso di mouse, tastiere e schermi touch.
La ricezione delle immagini è affidata a videocamere che garantiscono buona qualità a patto che siano posizionate correttamente e che la connessione sia adeguata (fatta salva l’impossibilità di restituire la terza dimensione). Lo stesso vale per i suoni.
Sempre a proposito di immagini ci si deve abituare il prima possibile a tre effetti che qui, per semplicità espositiva, chiameremo pressa, imbuto e buco della serratura: il primo ci priva della tridimensionalità; il secondo produce una inesorabile riduzione del campo visivo; il terzo evoca una posizione percettiva particolare che ci colloca al di là di ciò che accade.
Succede anche un’altra cosa curiosa: man mano che aumentano le persone coinvolte “le loro dimensioni variano”. Non solo, nella maggioranza delle piattaforme attualmente in uso di fatto vengono visualizzate collezioni di “figurine a mezzo busto”.
Stante i vincoli sensoriali appena accennati (che meriteranno approfondimenti), l’indubbio vantaggio è che si possono condividere file di ogni genere che in alcuni casi possono anche essere manipolati in tempo reale e a più mani. Ma per comprendere le difficoltà in agguato basta pensare al momento in cui si deve gestire il rito della stesura dell’accordo di mediazione e la relativa apposizione delle firme. A proposito di queste prime condizioni sarebbe opportuno convenire sul fatto che lo scenario VWC impone una riorganizzazione dei nostri processi percettivi (di assimilazione) e manipolativi (di accomodamento):tutti i soggetti coinvolti dovranno quindi imparare ad esprimersi in modo nuovo e diverso, imparando a presidiare nuovi processi di packaging semantico.
Per rendere l’idea basta comparare un testo scritto a biro su un foglio di carta, una mail, un messaggio WhatsApp, un commento fatto in video call e verificare le sostanziali differenze, anche solo a livello di strutture grammaticali. Facendo sintesi, i device, che sono la precondizione di ogni scenario VWC, determinano il modo di esprimerci e il livello di complessità sostenibile. E non possiamo dare per scontato che le Parti siano in grado di gestire una tal complessità. Anzi, potremmo affermare con tranquillità che minori saranno le competenze disponibili, maggiore sarà la probabilità che le parti attuino reazioni di chiusura difensiva che nulla potrebbe avere a che fare con i contenuti proposti.
Consapevoli tutti? E pronti a gestire le implicazioni?
Se volessimo ottenere il doppio effetto di trarre dalla VWC il meglio garantendo i migliori risultati in termini di apprendimento a quali punti di attenzione dovremmo far riferimento?
Dalle considerazioni fatte nelle tappe precedenti emerge con forza un dato di fatto: gli scenari VWC sono implicitamente dedicati a soggetti che abbiamo già sviluppato una buona consapevolezza di sé e che quindi possano offrire buoni livelli di ingaggio relazionale e auto-determinazione.
In ogni altra condizione risulta difficile pensare che un individuo possa esser coinvolto in interazioni VWC, se non supportato direttamente da un referente esterno a sua volta specificamente formato. A scanso di equivoci va aggiunto che, ovviamente, non potrà mai esser l’età anagrafica a garantire l’accessibilità a scenari VWC. Il che significa esser ben consapevoli della necessità di utilizzare specifici indicatori che aiutino a individuare per ogni soggetto coinvolto la presenza delle capacità e abilità necessarie a partecipare ad esperienze VWC in modo funzionale ed efficace.
Garantire l’inclusione “tecnologica” ovvero verso quale futuro stiamo volgendo lo sguardo
Logica conseguenza del punto precedente è la capacità di comprendere e sviluppare la dialettica tra la VWC e le attese espresse dal paradigma di quella che potremo definire l’equità relazionale. Tale dialettica dovrà necessariamente percorrere sentieri che attraverseranno i territori della psicologia, della sociologia, della pedagogia, ma anche della tecnologia e dell’economia.
Un assaggio di ciò che qui si sta indicando lo ha fornito l’involontaria sperimentazione generata da un invisibile ricercatore denominato Covid-19. Per questo è bene che ci si astenga dal trasformare un rimedio tanto provvisorio quanto necessario nella soluzione ai mali della giurisprudenza. A questo proposito dovrebbe esser ben chiaro che non esiste pericolo maggiore di trasformare un mezzo nel fine. Soprattutto in un momento in cui il divenire delle dinamiche sociali sta chiedendo di ri-scrivere il galateo delle relazioni tenendo conto di variabili deboli(in senso vattiano) quali caratteristiche individuali, multiculturalità e condizioni economiche, attese sociali.
La VWC, come qualsiasi altro modello o metodo, non può assumere il valore di pietra di paragone indipendente dagli obiettivi che vanno raggiunti. Sarebbe come dichiarare che gli scarponi da sci sono la soluzione per ogni attività! Purtroppo(per fortuna?) l’unico modo di tutelare davvero le Leggi non può prescindere dal recupero di specifici elementi: chi … deve esser preparato come … per gestire cosa … in ragione di quali perché.
5. Conclusioni
È un grave errore esser ostili per principio verso ogni cambiamento, compresa l’evoluzione tecnologica della soluzione dei conflitti. La tecnologia non è né un bene né un male. Dipende dal soggetto che utilizza il nuovo mezzo o la nuova scoperta ed il livello di comprensione che tale soggetto ha dei nuovi strumenti. Il coltello può uccidere, è vero, ma è utile per tagliare il pane. La VWC potrebbe anche diventare una splendida occasione per proseguire il nostro viaggio alla scoperta degli umani e della loro relazione con le tecnologie. Siamo umani: non dimentichiamolo e non sottovalutiamolo.
Ma occorre – appunto – conoscere a fondo i nuovi mezzi, con le loro implicazioni relazionali. Ogni urgenza nel giungere ad una qualche conclusione non farebbe altro che sospingerci verso una faticosa quanto illusoria deriva.
Giorni or sono si è svolto un incontro di mediazione ove erano in gioco questioni complesse ed articolate di natura societaria fra ex nuora ed ex suocera. Ma erano in campo anche relazioni altrettanto complesse che nulla avevano a che fare con la società e con le questioni economiche in discussione. In apertura, gli avvocati hanno dichiarato che non sarebbe stata possibile una negoziazione e che era inevitabile lo scontro processuale. E se fosse stato un incontro in remoto la procedura si sarebbe chiusa con un verbale negativo. Invece, dopo quasi due ore di discussione la mediazione ha magicamente avuto inizio. Ma questo, attraverso la comprensione del vero contesto in cui si stava svolgendo la lite, attraverso gli sguardi diretti tra ex nuora ed ex suocera (impossibili su una piattaforma in remoto), attraverso le emozioni rivissute di agiti trascorsi quando le parti erano nuora e suocera, ecc.
Per il processo giudiziale, un ottimo e stimato magistrato ci ha riferito che per lui è essenziale guardare in volto il testimone, percepire le sue esitazioni, vedere il colore delle guance mentre risponde, leggere le posture delle parti interrogate, ecc. E che tali percezioni sono per lui possibili solo in un contesto diretto e non mediato da un video.
Nessun ostacolo quindi alla tecnologia ed al processo telematico, purché tutto si limiti alle procedure ove non occorre interazione e comprensione delle dinamiche relazionali. La tecnologia digitale costituisce un ottimo supporto per agevolare le procedure quando ci si deve limitare a passaggi di mero rito (rinvii, ecc.) ma non può esser utilizzata per comprimere le sequenze cruciali del processo (giudiziario o di mediazione).
Il rischio sarebbe, per il processo giudiziario, una definizione legittima ma non sicuramente giusta e condivisibile; per una mediazione, sarebbe la non comprensione dei contesti da parte del mediatore, con inevitabile scempio della mediazione degli interessi.
Stare a guardare è un’arte, e anche molto difficile,
ed è bene farlo anziché partire in tromba in una direzione o nell’altra.
Ma non è meglio fare qualcosa?
Nossignore, se non hai le idee chiare è meglio stare a guardare.
- Feynman[2]
[1]Alberto Del Noce, avvocato, Vicepresidente Unione Nazionale delle Camere Civili, mediatore iscritto presso l’Organismo di Mediazione dell’Ordine Avvocati di Torino e ADR Piemonte, docente in materia di mediazioni presso Unioncamere, Cultore della materia di Diritto Comparato dei Consumi presso la Scuola di Management ed Economia del Dipartimento di Economia e Commercio dell’Università agli Studi di Torino, consigliere della Camera Arbitrale del Piemonte
Fabio Rondot, psicologo e psicoterapeuta, consulente e formatore nel campo delle competenze manageriali, dei processi organizzativi, della mediazione, della valutazione degli apprendimenti, docente in materia di mediazioni presso Unioncamere, mediatore iscritto presso ADR Piemonte.
[2] Feynman R.“Il senso delle cose”, p.105 Adelphi, Milano 1999
[i] Ordinario di Diritto Penale all’Università di Bologna, Il Foglio del 21/5/2020, pag. 5
[ii] Qualche anno or sono gli avvocati sono stati dispensati dall’indossare le toghe ma, dopo pochissimo tempo, è stato reintrodotto obbligatoriamente dagli stessi magistrati.
[iii]Ciascuno orienta le proprie azioni in base alla Piramide dei Bisogni. Secondo Maslow, bisogni e motivazioni hanno lo stesso significato e si strutturano in gradi, connessi in una gerarchia di prepotenza relativa. Il passaggio ad uno stadio superiore può avvenire solo dopo la soddisfazione dei bisogni di grado inferiore. Egli sostiene che la base di partenza per lo studio dell’individuo è la considerazione di esso come globalità di bisogni. Maslow sostiene che saper riconoscere i bisogni dell’individuo favorisce un’assistenza centrata sulla persona. Ogni individuo è unico e irripetibile. Invece, i bisogni sono comuni a tutti; si condividono, ci accomunano e fanno vivere meglio se vengono soddisfatti. Maslow suddivide i bisogni in “fondamentali” e “superiori” ritenendo quest’ultimi quelli psicologici e spirituali. Di fatto però la non soddisfazione dei bisogni fondamentali, definiti anche elementari, porta alla non soddisfazione di quelli superiori.
[iv]Uno studio dell’Università del Surrey, dedicato alla Video Enabled Justice Evaluation, ha messo in luce che con le udienze telematiche è aumentato sensibilmente il rischio di una condanna più severa ed una pena detentiva diventa molto più probabile che i lavori socialmente utili.
[v] In estrema sintesi si potrebbe affermare che abbiamo bisogno di sentirci sentiti (e di vedere che siamo stati visti), insomma necessitiamo di relazioni di “attaccamento” facilmente percepibili e decodificabili. A questo proposito gli studi di J. Bowbly e dei suoi allievi ci hanno fornito precise indicazioni su quali comportamenti possono consentire uno sviluppo armonico e quali invece possono contribuire a generare difficoltà anche severe a livello cognitivo, affettivo, emotivo. Un esempio per tutti basterà a indicare la via per ulteriori conferme; bambini che per tempi prolungati vivono l’esperienza di permanere in incubatrice evidenzieranno ritardi psicomotori che necessiteranno di specifici interventi per essere recuperati.
[vi] si dice che “torniamo un po’ bambini”, e questo segnale denuncia con molta probabilità che in ogni fase della nostra esistenza vorremmo poter contare sulla possibilità di ri-sperimentare modalità relazionali prossime a quelle sperimentate nelle prime fasi della nostra esistenza.
[vii] Per semplificare la narrazione faremo riferimento a due soggetti: A e B, ma quanto affermato naturalmente vale anche in presenza di cinque o più soggetti (facendo riferimento ad una configurazione base: un mediatore, due parti e due avvocati).