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Covid-19 e locazioni

L’Italia e il mondo intero hanno affrontato e stanno affrontando una crisi senza precedenti. Questa crisi, come ormai abbiamo sperimentato sulla nostra pelle, non è più una crisi esclusivamente sanitaria, ma anche economica.

Milioni di lavoratori sono stati bloccati in casa (“lockdown”), le attività commerciali sono rimaste chiuse od hanno lavorato ad una produttività ridotta, e per milioni di persone, pagare l’affitto o le spese delle proprie attività è diventato e sta diventando un sacrificio sempre più difficile da affrontare.

La chiusura degli esercizi commerciali e la sospensione di tutte le attività produttive, ad eccezione di quelle espressamente previste dalla normativa e l’esodo di centinaia di studenti e lavoratori dalle grandi città e dalle zone più contagiate, hanno generato il dubbio circa la possibilità di chiedere (e ottenere) la sospensione o riduzione dei canoni nei contratti di locazione non goduti o non pienamente goduti in ragione dell’obbligo di chiusura o dell’allontanamento.

Per giustificare la possibile sospensione del pagamento degli affitti o la riduzione degli stessi molti hanno pensato di richiamare gli istituti giuridici dell’impossibilità sopravvenuta per causa non imputabile al debitore (il debitore in questo caso è l’inquilino) o dell’eccessiva onerosità della prestazione del pagamento del canone di locazione.

Vediamo le due figure che più hanno ritenuto di procedere con la sospensione del pagamento dei canoni: locazioni commerciali e locazioni di studenti. Per le locazioni abitative l’utilizzo dell’immobile è rimasto pieno, anzi è stato indispensabile.

Locazioni commerciali.

Partiamo da una premessa. I divieti di esercizio delle attività produttive e commerciali imposti dai provvedimenti governativi non incidono in alcun modo sulla prestazione principale del locatore. In altre parole, se le attività commerciali sono state sospese dal Governo ciò non è dipeso da qualche inadempimento del proprietario dell’immobile. Il locatore, per legge, ha infatti solo l’obbligo di mettere a disposizione del conduttore locali idonei all’esercizio dell’attività e, sempre per legge, il conduttore è legittimato alla sospensione o riduzione del canone di locazione unicamente in caso di inadempimento del locatore. E, nel passato, anche con un inadempimento del proprietario il conduttore non poteva farsi giustizia da sé ma doveva esser autorizzato dal giudice a sospendere i pagamenti. A quest’ultimo riguardo si veda, tra le altre, Corte di Cassazione, Sezione Terza Civile, Sentenza 27 settembre 2016 n. 18987: “al conduttore non è consentito di astenersi dal versare il canone, ovvero di ridurlo unilateralmente, nel caso in cui si verifichi una riduzione o una diminuzione nel godimento del bene, e ciò anche quando si assume che tale evento sia ricollegabile al fatto del locatore. La sospensione totale o parziale dell’adempimento dell’obbligazione del conduttore è, difatti, legittima soltanto qualora venga completamente a mancare la controprestazione da parte del locatore, costituendo altrimenti un’alterazione del sinallagma contrattuale che determina uno squilibrio tra le prestazioni delle parti”.

Molti conduttori hanno però eccepito: con la pandemia conclamata e con la chiusura dei nostri esercizi commerciali si è di fatto determinata l’impossibilità per noi di adempiere e tale impossibilità è stata determinata da un fatto a noi non imputabile (e neppure imputabile al proprietario dell’immobile) o di forza maggiore.

Ebbene, ciò può significare che detti conduttori possono legittimamente non pagare i canoni dalla chiusura degli esercizi sino alla loro riapertura? La legge non lo dice e non lo dicono neppure le norme emergenziali sino ad oggi emesse. L’unica norma che può interessare è l’art. 91 del D.L. 17 marzo 2020 n. 18 che ha inserito un nuovo comma 6 bis all’art. 3 del D.L. 23 febbraio 2020 n. 6 (convertito con modificazioni dalla legge 5 marzo 2020 n. 13) che prevede: “Il rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto è sempre valutata ai fini dell’esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti”.

Tale previsione, nel nostro caso, non vuol dire che il conduttore può non pagare il canone (o pagarlo ridotto) ma significa solo che il proprietario non può risolvere il contratto per inadempimento. Ma può certo chiedere l’esecuzione del contratto, magari con un decreto ingiuntivo per i canoni non pagati.

Libero invece l’inquilino di recedere dal contratto, anche in caso di un’eventuale clausola che lo esclude. E potrebbe recedere proprio invocando proprio l’eccessiva onerosità sopravvenuta, che in questo caso gli potrebbe venir riconosciuta.

Rimane in ogni caso fermo che la legislazione vincolistica prevede che in ogni caso il conduttore può recedere quando vuole dal contratto (con preavviso di sei mesi) quando ricorrono gravi motivi (art. 27 Legge 392/78 s.m.i.). E certamente qui ricorrono i gravi motivi.

Tale tesi è anche avvalorata da altre norme emergenziali. Per i locali commerciali il decreto Cura Italia ha infatti previsto un credito d’imposta del 60% del canone di locazione per gli inquilini che hanno in affitto locali accatastati C/1. Ma per ottenere tale agevolazione è implicito che non sia legislativamente previsto alcun diritto alla sospensione o riduzione del canone, che resta quindi da pagare, regolarmente ed interamente.

Teniamo infine conto che spesso le limitazioni delle attività economiche non le hanno tuttavia rese sempre impossibili. Ad esempio, nel settore della ristorazione è stata resa possibile la cucina d’asporto e anche precedentemente alla Fase 2 era possibile fare consegne a domicilio. In ogni caso, gli immobili erano utilizzabili per eventuali opere di manutenzione.

Locazioni transitorie per studenti o lavoratori.

Per tali contratti vale quanto appena detto.

In più, occorre mettere in evidenza che sino ad oggi vi era l’impossibilità di trasferirsi dalla propria abitazione (magari transitoria) verso le residenze fuori Regione. Quindi, per chi è rimasto nelle località di studio o di lavoro, gli immobili hanno avuto una destinazione addirittura stabile. Destinazione importante per lo studio in remoto o per lo smart working. Se poi tali studenti o lavoratori sono riusciti a ritornare presso le loro residenze, ciò è dipeso da un loro atto volontario. Ricordiamo poi che per comprovate esigenze di lavoro, assoluta urgenza e motivi di salute essi avrebbero potuto fare ritorno.

Non si riesce nemmeno in questo caso ad intravvedere una giustificazione giuridica per non pagare il canone di locazione (impossibilità sopravvenuta o eccessiva onerosità).

Tornando quindi alla domanda a monte: il conduttore è legittimato a invocare l’impossibilità sopravvenuta e/o l’eccessiva onerosità dell’obbligazione, per sospendere il pagamento del canone di locazione o ridurre l’ammontare dello stesso? A parere di chi scrive, anche alla luce delle considerazioni che precedono, la risposta è negativa. O, meglio, deve esser precisata.

C’è chi – come visto – ha invocato l’art. 1467 cod. civ. (eccessiva onerosità sopravvenuta): l’epidemia ha reso l’adempimento di talune prestazioni (come ad es. il pagamento del canone) non assolutamente impossibile ma maggiormente oneroso (es. in termini di costi di produzione, di consegna ecc.). Tale istituto giuridico, tuttavia, potrebbe portare solo alla risoluzione del contratto da parte del debitore e non giustificare l’inadempimento.

C’è chi – come visto – ha invocato invece l’art. 1256 cod. civ. (impossibilità sopravvenuta): l’obbligazione si estingue quando, per una causa non imputabile al debitore, la prestazione diventa impossibile (l’impossibilità deve essere sopravvenuta, cioè successiva, alla stipulazione del contratto, al sorgere dell’obbligazione). Ma nel nostro caso, nei contratti a prestazioni corrispettive la conseguenza sarà l’automatica risoluzione del contratto anche se l’altra prestazione è ancora possibile. Come precedentemente analizzato se, invece, l’impossibilità è solo temporanea, il debitore, finché essa perdura, non è responsabile del ritardo nell’adempimento.

Quanto detto non esclude naturalmente che le parti possano liberamente concordare, in ragione degli effetti della sospensione dell’attività sul fatturato dell’impresa, sospensioni, riduzioni o posticipazioni del pagamento del canone, rinegoziando con la proprietà modalità e termini dell’adempimento.

Salvo eventuali future misure di diversa portata, la ricerca di un accordo con il locatore è certamente la soluzione più convincente oltre ad essere senz’altro quella giuridicamente più corretta (ed è stata anche suggerita dagli ultimi provvedimenti emergenziali): considerata l’eccezionalità degli eventi e della situazione che ci troviamo a vivere, la ragionevolezza e la buona fede delle parti interessate possono aiutare a trovare il rimedio che il diritto non offre.

Tra l’altro, lo Stato agevola il proprietario una eventuale rinegoziazione del contratto (in via temporanea o definitiva) in due modi: 1) non facendo pagare le tasse sui canoni non incassati (diversamente allo Stato non interessa se gli affitti sono stati pagati o meno…); 2) non facendo pagare alcunché per la registrazione del patto tra le parti.

E se non si trova un accordo? Allora al conduttore non resterà che recedere con effetto immediato dal contratto, facendo rilevare la sussistenza dei gravi motivi ovvero, nel dubbio, attenendosi a quanto prevede l’articolo 3 del DM 16 gennaio 2017, che ha introdotto un termine breve per il recesso.

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